Festa 2 giugno, Sala: “Importante unirci e riunirci sotto la bandiera”

In piazza Duomo per il 71esimo anniversario della Repubblica anche l’ex premier Mario Monti. Porte aperte in Comune, oltre cinquemila visitatori

Milano, 2 giugno 2017 – “Tre date sono legate alla nascita  della Repubblica Italiana: il 25 aprile del 1945 (la liberazione dell’Italia), il 2 giugno del 1946 quando gli  italiani scelsero, con il referendum aperto anche al voto delle donne la Repubblica, preferendola alla Monarchia e l’1 gennaio del 1948 quando la Costituzione venne promulgata”. Lo ha ricordato il sottosegretario alla Presidenza della Regione Lombardia Gustavo Cioppa, in piazza Duomo a Milano, intervenendo alle Celebrazioni in onore del 71° anniversario della fondazione della Repubblica. Presenti alla cerimonia, tra gli altri  il prefetto Luciana Lamorgese e l’ex premier Mario Monti.

I festeggiamenti del 2 giugno sono iniziati con la cerimonia dell’Alzabandiera. “Rendere omaggio ad un simbolo così importante – ha aggiunto Cioppa – è per tutti noi, autorità civili, militari, cittadini,testimonianza di grande rispetto per gli alti valori che il nostro Tricolore rappresenta. E’ rievocare il sacrificio di un popolo che mirava, unito, ad avere giustizia, uguaglianza, fratellanza. Tre obiettivi senza i quali non ci possono essere dignità, democrazia e prosperità. Il compito che ciascuno di noi è chiamato a svolgere è riaffermare con forza i valori ed i principi alla base della nostra Repubblica e del vivere democratico. Dobbiamo riaffermare il senso del vivere insieme e la pace”.

“In un momento delicato come questo è ancora più importante unirci e riunirci sotto la bandiera”, ha proseguito il sindaco di Milano, Beppe Sala. Il primo cittadino ha anche sottolineato l’importanza di “ricordare e guardare indietro per vivere la contemporaneità”. “Dobbiamo legittimamente aspettarci un’Italia che ha un ruolo fondamentale in Europa – ha concluso il primo cittadino -. Le decisioni prese dal presidente americano sul clima ma non solo, questa ricerca di una via autonoma, mette l’Europa in condizione di essere ancora più unita. E’ importante che ci sia anche l’Italia, è il tema del momento.”

Alla parata hanno sfilato, oltre all’aeronautica militare e all’esercito, cui spetta l’organizzazione della manifestazione, la polizia, i carabinieri, la guardia di finanza, la polizia penitenziaria e i vigili del fuoco. Presente anche una delegazione della Croce rossa italiana. Tutti i picchetti sono stati formati da 12 elementi più uno o due ufficiali o sottoufficiali di supporto, secondo le linee guida del coordinamento militare. Intorno alle 10.30, dopo l’alzabandiera, è stato letto il messaggio del presidente della Repubblica. La manifestazione si è conclusa con il ritiro del gonfalone della città. Per garantire la sicurezza, durante la cerimonia gli accessi a piazza Duomo sono stati chiusi con transenne e controllati da agenti di polizia.

PORTE APERTE IN COMUNE –  Al termine della cerimonia, Sala si è fermato a salutare i numerosi milanesi accorsi in piazza per festeggiare la Repubblica. Inoltre, per tutta la giornata di oggi Palazzo Marino sarà aperto al pubblico, compreso l’ufficio del sindaco. Tante le persone in visita: famiglie, nonni con i nipoti, gli studenti di un liceo milanese, turisti provenienti da tutto il mondo, che hanno stretto la mano al primo cittadino e si sono fatti scattare una foto insieme a lui. Nell’ufficio di Beppe Sala c’è la grande scrivania in legno che lo segue dai tempi di Expo, quando era commissario unico e, ancora prima quando lavorava come direttore generale del Comune con il sindaco Letizia Moratti. Tra i visitatori anche due giovani turiste tedesche che hanno chiesto aiuto al sindaco per trovare i biglietti della Scala, lui gli ha fatto lasciare i contatti ai suoi collaboratori con la promessa che cercherà di aiutarle.  Alla fine sono state oltre cinquemila le persone, fra cittadini e turisti, che hanno visitato le sale di Palazzo Marino, autonomamente oppure con le guide. 

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/festa-2-giugno-1.3167103

Funerali Tettamanzi, 5mila persone in Duomo per l’amato arcivescovo

Il saluto di Milano all’arcivescovo emerito Dionigi Tettamanzi, sepolto nella cattedrale accanto all’urna del beato cardinale Schuster

Milano, 8 agosto 2017 – Duomo gremito per i funerali del cardinale Dionigi Tettamanzi, iniziati alle ore 11. I posti a sedere, nei banchi all’interno della Cattedrale sono tutti occupati, mentre all’esterno si è formata una piccola coda di fedeli in attesa dei controlli di sicurezza per poter entrare ad assistere alla celebrazione. Più di 5mila persone hanno partecipato al rito funebre. Già nella giornata di ieri nel Duomo di Milano non erano mancati i momenti di preghiera e commozione per l’arcivescovo emerito Dionigi Tettamanzi. Molti milanesi hanno pregato davanti alla bara e omaggiato così l’amatissimo cardinale, originario di Renate, in Brianza, e scomparso sabato a villa Sacro Cuore di Triuggio a 83 anni.

Trenta i vescovi presenti tra i quali: il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della cultura; il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova; il cardinale Gualtiero Bassetti, attuale presidente della Cei e arcivescovo di Perugia; l’arcivescovo emerito di Torino Severino Poletto. Presenti anche molti esponenti delle istituzioni, tra i quali il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina,  l’ex premier Mario Monti, primo cittadino milanese Giuseppe Sala, il prefetto Luciana Lamorgese e il presidente del Consiglio regionale Raffale Cattaneo. Oltre ovviamente ai familiari: il fratello Antonio, la sorella Gianna, la storica assistente Marina Oggioni e i nipoti. Le esequie sono presiedute dall’amministratore apostolico cardinale Angelo Scola – che ha iniziato la cerimonia leggendo il messaggio inviato sabato da Papa Francesco – e concelebrate tra gli altri dall’arcivescovo neoeletto di Milano monsignor Mario Delpini. Il cardinale Tettamanzi – al termine della celebrazione – verrà sepolto in Duomo, sul lato destro della cattedrale, ai piedi dell’altare Virgo Potens, dove è presente anche l’urna del beato cardinale Schuster.

L’OMELIA DI SCOLA: “La morte di questo uomo ‘amabile e amato’, come l’ha definito Papa Francesco nel suo messaggio, non è una sconfitta della vita. Al contrario, ne è la pienezza. La sua morte è una vittoria”. Queste le parole del cardinale Angelo Scola durante l’omelia. “Moltissimi di noi, penso anche a me, alla nostra lunga collaborazione e amicizia, hanno nel cuore fatti e momenti in cui ha potuto godere dell’intensa umanità del cardinale Dionigi. A essi ritorneremo quasi come a preziose reliquie. Di essi parleremo agli adolescenti, ai giovani, a figli e nipoti per aiutarli a crescere”. “Il rapporto del cardinale Dionigi con la società civile ebbe un peso notevole – ha spiegato Scola -. Si manifestò non solo attraverso un’apertura al confronto sociale a cui va aggiunto quello ecumenico e interreligioso, ma anche attraverso un’attenzione ai problemi della famiglia, delle famiglie ferite, della vita, del lavoro e dell’emarginazione nelle sue tante e dolorose forme. Il cardinale era guidato da un profondo senso di giustizia che si esprimeva nella promozione e nella difesa dei diritti di tutti e di ciascuno vissuti nel loro legame profondo con i doveri e garantiti da buone leggi. Seppe denunciare senza timidezze, ma sempre in modo costruttivo, i mali delle nostre terre”.

LE ISTITUZIONI LOMBARDE – “Prima ancora che il cardinale Tettamanzi, ho conosciuto il don Dionigi grande filosofo morale che ha ricordato a tutti noi, e lo ha fatto ancora di più da cardinale, l’importanza della dimensione della solidarietà e di una vita morale, cioè orientata al bene anche dalle scelte sociali e politiche – commenta Raffaele Cattaneo, presidente del Consiglio regionale lombardo -. Questo è l’aspetto che ricordo con più forza del suo insegnamento e credo che sia anche l’eredità che ci lascia”. “Il suo forte legame con il territorio lombardo gli ha consentito di incidere anche sulle istituzioni per promuovere un fattivo contrasto alla dilagante povertà. Già dal 2008 aveva ideato il Fondo Famiglia Lavoro, che negli anni ha contribuito a sostenere numerose famiglie impoverite dalla crisi: un vero pater pauperum”, ricorda Gustavo Cioppa, sottosegretario alla presidenza di Regione Lombardia. Nell’esprimere il cordoglio di Regione Lombardia, Cioppa ha ricordato “lo spirito paterno del Pastore milanese dedito alla cura di tutta la sua Chiesa e particolarmente attento al bene delle famiglie e dei più umili”.

IL RICORDO DEL SINDACO SALA – “Lascia un grande insegnamento: l’attenzione agli ultimi e alle famiglie. Dobbiamo trovare una forma per recuperare il suo insegnamento”. Così il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, al termine dei funerali in Duomo, dell’arcivescovo emerito della città, Dionigi Tettamanzi. “Oggi qui c’e’ stata una dimostrazione di grande affetto. Come ha ricordato Delpini era facile volergli bene ed è stato giusto il richiamo a fare in modo che sia piu’ facile volerci bene”.

LA SEPOLTURA – Al termine della celebrazione, le spoglie del cardinale Tettamanzi sono state sepolte in Duomo, sul lato destro della cattedrale, ai piedi dell’altare Virgo Potens dove è presente anche l’urna del beato cardinale Schuster, di fianco alla sepoltura di uno dei suoi predecessori, il cardinale Giovanni Colombo. Al momento della sepoltura, rigorosamente privato, erano presenti il cardinale Scola (che ha guidato la preghiera), monsignor Delpini, i familiari e i più stretti collaboratori del cardinale. Dal pomeriggio di oggi è possibile fermarsi in preghiera sulla tomba. 

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/tettamanzi-funerale-1.3320187

Anniversario omicidio Dalla Chiesa, Milano ricorda il “suo” generale

Messa di suffragio in Santa Maria delle Grazie e deposizione delle corone alla lapide commemorativa di piazza Diaz

Milano, 3 settembre 2017 – Anche Milano ricorda il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia a Palermo il 3 settembre 1982 insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. Nell’ambito delle iniziative promosse per commemorare il 35esimo anniversario dell’omicidio, questa mattina nella chiesa di Santa Maria delle Grazie è stata celebrata una messa di suffragio cui hanno partecipato numerose autorità civili e militari, a partire dal sindaco Giuseppe Sala. A seguire, c’è stata la deposizione di corone alla lapide commemorativa in piazza Diaz dove alle 18 si terrà invece una manifestazione incentrata sul tema “L’eredità civile del generale Dalla Chiesa”.

“Del suo lavoro e del suo insegnamento è rimasto molto qui – ha sottolineato il sindaco Sala – se tutti noi spesso abbiamo detto che era un uomo solo, rispetto alle istituzioni, certamente a Milano non lo era. Qui era tutto meno che un uomo solo: aveva una squadra forte, ha lasciato molto in termini di insegnamento. Milano è stata la realtà in cui ha lasciato poi una traccia operativa rispetto al suo lavoro”. Gustavo Cioppa, sottosegretario alla presidenza di Regione Lombardia, ha invece detto: “Dalla Chiesa non utilizzò leggi speciali ma l’uso delle armi del diritto penale e della procedura penale, coordinando le iniziative antimafia, attuando una strategia intelligente e attenta alle dinamiche criminali, anticipando di fatto le metodologie di ricerca dei flussi finanziari utilizzati dalla mafia, facendosi tra l’altro autore e interprete di modelli vincenti nell’investigazione e nell’attività di repressione”

Quelli odierni sono i primi appuntamenti di una lunga serie di eventi commemorativi che vedranno nei prossimi giorni, tra le altre cose, la realizzazione di una mostra documentale sul generale che a Milano ha prestato servizio come comandante della Compagnia Interna dal 27 ottobre 1954 al 15 ottobre 1957, comandante del Gruppo Milano Interno dal 20 dicembre 1960 al 30 giugno 1963, comandante del Gruppo di Milano dal 10 aprile 1965 al 30 giugno 1966 e comandante della prima Divisione “Pastrengo” dal 30 dicembre 1979 al 15 dicembre 1981. Le iniziative culmineranno il 28 settembre con la presentazione, all’auditorium “Testori” di Palazzo Lombardia, di un nuovo libro sulla figura di Dalla Chiesa, scritto dal giornalista Andrea Galli, nel quale viene ripercorsa la storia del generale che sconfisse il terrorismo e morì a Palermo ucciso dalla mafia.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/commemorazione-dalla-chiesa-1.3372446

Mafia, nel 2016 almeno 18 intimidazioni ad amministratori lombardi

La Commissione regionale e il Comitato Scientifico si impegneranno per approfondire il monitoraggio del fenomeno

Milano, 20 novembre 2017 – Sono almeno 18 gli atti intimidatori di stampo mafioso negli confronti degli amministratori locali, avvenuti in Lombardia l’anno scorso. E’ quanto emerge dal rapporto 2016 di ‘Avviso pubblico’ che ha un focus dedicato alle minacce nei confronti degli agenti di polizia municipale, con 108 casi censiti. Il tema delle minacce nei confronti degli amministratori locali e’ stato al centro di un incontro promosso oggi a Palazzo Pirelli dalla commissione speciale Antimafia e al quale sono intervenuti Gustavo Cioppa, sottosegretario alla presidenza della Regione Lombardia, Gian Antonio Girelli, presidente della commissione speciale Antimafia, Nando Dalla Chiesa, presidente del comitato tecnico scientifico, Pier Paolo Romani, coordinatore nazionale Avviso Pubblico, e Virginio Brivio, presidente Anci Lombardia.

Nelle scorse settimane la commissione speciale antimafia aveva inviato ai Comuni lombardi un questionario per raccogliere piu’ dati possibili: oltre 900 le risposte ricevute, ben 500 dai Comuni, e oltre 120 segnalazioni di casi di varia natura. “La presentazione del rapporto di Avviso Pubblico e la sintesi dei questionari inviati dalla Commissione Antimafia e dal Comitato per la legalita’ di Regione Lombardia – ha commentato Girelli – evidenziano la criticità di un fenomeno purtroppo diffuso in tutta Italia e anche in Lombardia. I numeri ci dicono che troppi amministratori pubblici subiscono vari tipi di intimidazioni, sotto forma di violenza fisica, attentati a beni, minacce in varie forme. E i dati raccolti hanno il limite di non aver raccolto tutto quanto effettivamente e’ avvenuto, essendo ancora da vincere una certa resistenza a denunciare. Ecco che allora l’impegno della nostra Commissione deve svilupparsi su tre obiettivi: – far comprendere che quando un amministratore viene minacciato non deve in nessun modo sentirsi solo, ma sentire il supporto e la protezione di tutta la rete di amministratori lombardi; – far sapere alle organizzazioni mafiose che c’e’ una risposta di tutta la realtà istituzionale al loro tentativo di minacciare e intimorire gli amministratori pubblici; – maturare la consapevolezza che ad essere minacciata, quando avvengono fatti di questo genere, non e’ la singola persona o la singola realtà, ma la stessa tenuta del sistema democratico. La Commissione regionale e il Comitato Scientifico si impegneranno per approfondire con Avviso Pubblico il monitoraggio del fenomeno e l’immediata condanna di ogni intimidazione, nonché attivare un supporto alle vittime”.

Fonte Agi

Fonte: https://www.ilgiorno.it/cronaca/intimidazioni-mafia-1.3548921

Teste di maiale e macchine bruciate: fare il sindaco, mestiere a rischio

La relazione dell’Antimafia: nel Milanese il record di minacce

Milano, 21 novembre 2017 – Tra le regioni del Settentrione è la Lombardia la prima per numero di minacce e intimidazioni riconducibili ad ambienti mafiosi subite dagli amministratori locali, vale a dire dai sindaci e dagli assessori dei 1.543 Comuni che ne fanno parte. A rivelarlo è il dossier «Amministratori sotto tiro», curato dall’associazione “Avviso Pubblico”, da tempo impegnata nel contrasto alle infiltrazioni malavitose. In testa alla graduatoria ci sono Calabria, Sicilia e Campania con, nell’ordine, 87, 86 e 64 casi di minacce e intimidazioni a politici locali nel corso dei 12 mesi del 2016, l’anno al quale fa riferimento la ricerca. Al quarto posto la Puglia (62 casi), al quinto la Sardegna (42), quindi Lazio (21) ed Emilia Romagna (19). Poi ecco la Lombardia con 18 casi. La provincia più colpita è Milano (6), seguono Mantova, Como e Pavia con 3 casi ciascuna, Lecco con 2 e infine Brescia con un solo caso. Dati fisiologicamente sottostimati. Di che tipo di intimidazioni si parla, esattamente? Nel dossier si segnalano in particolare i casi di Pescate (Lecco), dove è stata ritrovata una testa di maiale scotennata che, secondo i carabinieri, costituiva un avvertimento per un consigliere comunale, quello di Sorico (Como), dove è stata incendiata l’auto del sindaco.

La via preferita dalla malavita è proprio l’incendio di un bene di proprietà della persona “sgradita”, seguito da lettere e messaggi minatori e dai danneggiamento di strutture e mezzi. Le aggressioni fisiche sono “solo” il 10% dei casi. E ancora marginali risultano insulti e minacce via social network. Diciassette le locali di ’ndrangheta attive sul territorio, un dato, quest’ultimo, già emerso dalle ultime inchieste delle procure. «Le intimidazioni mafiose rappresentano un pericolo per la libertà individuale, sociale ed economica – spiega Gustavo Cioppa, sottosegretario della Regione nel corso della presentazione del dossier alla Commissione Antimafia del Pirellone –. Un fenomeno che anche grazie al coraggio degli stessi amministratori minacciati emerge ora nella sua gravità. Una consapevolezza da cui si può innescare una reazione». A sottolineare l’importanza del sostegno delle istituzioni ai propri appartenenti e dell’associazionismo sono stati anche Maria Ferrucci, ex sindaco di Corsico, ora in quel Consiglio comunale dove esplose il caso della Sagra dello Stocco di Mammola, e da Virginio Brivio, presidente dell’Associazione dei Comuni Lombardia (Anci Lombardia). «La regione – dice Nando Dalla Chiesa – è un campo di battaglia: a rischio non solo la concorrenza, ma anche le libertà politiche». Da parte sua la Commissione antimafia del Pirellone nei mesi scorsi aveva inviato ai Comuni un questionario sempre sul tema della intimidazioni: oltre 900 le risposte ricevute, ben 500 dai Comuni per oltre 120 segnalazioni di casi di varia natura. «Fenomeno purtroppo radicato», conclude il presidente Gian Antonio Girelli.

di GIAMBATTISTA ANASTASIO

Fonte: https://www.ilgiorno.it/cronaca/minacce-sindaci-1.3550076

“Piazza Fontana non si dimentica, lottiamo contro i rigurgiti di fascismo”

I familiari delle vittime: stanchi dell’assenza di esponenti dello Stato

Muilano, 13 dicembre 2017 – «È vero oggi è il 12», indovina un passante dallo striscione di testa mentre il corteo lungo e magro, che in fondo pare tutto gonfaloni e divise, attraversa piazza del Duomo col sottofondo della urla d’una massa di adolescenti in attesa di qualche loro idolo in via Mercanti. Troppo rumorosa oggi questa piazza, per ascoltare quel silenzio che «gridava», 48 anni fa, quando era murata da «migliaia e migliaia» di persone ai funerali, ricorda Carlo Arnoldi, presidente dell’Associazione Familiari e vittime di Piazza Fontana.

Una risposta «di popolo» che «contribuì» «a sconfiggere la strategia della tensione» e salvare la democrazia, ricorda nel suo messaggio il Presidente Sergio Mattarella, e dice che la strada della verità va ancora «perseguita». Come hanno fatto le famiglie delle vittime e i feriti, ricorda il sottosegretario della Regione Gustavo Cioppa. E se è mancata la giustizia, «le indagini degli anni ’90 non sono state inutili – ricorda Guido Salvini, il magistrato che le ha riaperte -. Le sentenze danno» ai neonazisti di Ordine nuovo «una paternità» della strage «chenon può essere discussa». «I colpevoli ci sono e sono i fascisti», sintetizza il sindaco Beppe Sala, e ai «rigurgiti» di saluti romani, blitz, provocazioni e vandalismi che hanno infestato gli ultimi mesi di vita pubblica non solo milanese «dobbiamo rispondere con un antifascismo militante». «Bisogna mettere fuorilegge le associazioni naziste e fasciste, le leggi ci sono», taglia corto dal palco la presidente nazionale dell’Anpi Carla Nespolo, mentre quello milanese, Roberto Cenati, invita «gli antifascisti e i democratici» domani in consiglio comunale, dove si discute la mozione di maggioranza per negare spazi, partocini e contributi a chi non si riconosce nei valori della Costituzione.

«Ci sono forze politiche che non prendono le distanze dal fascismo, rimane che chi lo fa deve moltiplicare gli sforzi», chiosa Sala. Anche «portando in piazza l’anno prossimo più giovani». E più persone in generale, perché, dice Arnoldi, anche se son passati «gli anni terribili in cui il 12 dicembre era un mero pretesto per contestare le istituzioni, a Bologna, a Brescia si mobilitano in migliaia: anche a Milano è tempo che la manifestazione sia una». Gli anarchici della Ghisolfa a Piazza Fontana arriveranno a sera insieme al corteo dei centri sociali partito da piazza Abbiategrasso. Dopo essersi riuniti in piazza Santo Stefano, più piccola e piena, per scoprire la nuova lapide a Claudio Varalli e Giannino Zibecchi, un blocco di granito a prova di nuovi vandalismi. Ma Claudia Pinelli ieri mattina era con l’associazione Familiari alla Casa della Memoria, per parlare a cento studenti. E prima di andare in piazza Santo Stefano era in Piazza Fontana, dietro le transenne, ad ascoltare Arnoldi dire il nome di suo padre Pino dopo quelli delle 17 vittime della bomba alla Banca dell’Agricoltura: un diciottesimo «presente», lontanissimo da quelli a braccio teso, per il ferroviere anarchico, «vittima due volte», anche di «pesantissimi infondati sospetti». Perché poi, chiarisce Arnoldi, quelli che «in questa piazza brillano per la loro assenza sono i rappresentanti dello Stato. Siamo stanchi di invitare tutti gli anni qualcuno per sentirlo poi declinare per impegni improvvisi. Certo, sanno che Milano è una città difficile, divisa. Ma sanno anche delle connivenze di apparati dello Stato che allora collaborarono nella strage, e si cerca di fare in modo che col passare degli anni sia dimenticata. Non lo sarà mai».

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/strage-piazza-fontana-1.3602769

Milano, carabiniere morto in caserma: l’esercitazione doveva essere con armi scariche

Andrea Vizzi, che stava simulando la parte dell’aggressore, non indossava il giubbotto antiproiettile

Milano, 13 febbraio 2018 – Non aveva il giubbotto antiproiettile addosso Andrea Vizzi, il carabiniere 33enne che ieri è rimasto vittima di un incidente alla caserma Montebello di Milano, durante un’esercitazione. E non lo indossava perché in quel momento stava simulando la parte dell’aggressore in uno degli scenari a cui le Api (Aliquote di pronto intervento) immaginano di trovarsi in caso di attentato o persona pericolosa in preda all’alterazione psicofisica.

L’esercitazione, che si sarebbe dovuta svolgere ad armi scariche, era cominciata alle 17:30, quindi era quasi a metà quanto un collega brigadiere ha esploso il colpo accidentalmente. Secondo quanto ricostruito finora, la pattuglia composta da quattro persone che stava svolgendo l’esercitazione era rientrata da un’attivita’ operativa e si era subito dopo dedicata al ciclo di esercitazioni che dovevano avere luogo nel grosso garage multipiano scelto per organizzarle. La procedura, come appreso, prevede che le armi – in particolare gli M12 (mitragliatrici) con cui spesso i carabinieri hanno a che fare – utilizzate durante le operazioni in strada vengono poi controllate e scaricate in modo da essere utilizzate in modo inoffensivo durante l’esercitazione.

In questo passaggio però qualcosa non ha funzionato ed è su questo che si sta concentrando l’indagine della procura, coordinata dalla pm Sara Arduini e dall’aggiunto Tiziana Siciliano e operata dal nucleo investigativo dei carabineri di Milano. Era proprio il brigadiere il responsabile del gruppo in quel momento ed e’ dal suo fucile che e’ partito il colpo che ha raggiunto l’appuntato nell’emitorace destro. Nel contesto delle tragiche fatalità che hanno portato alla morte di Andrea Vizzi c’è anche la distanza ravvicinata, appena pochi metri, tra il fucile e il suo corpo. Per il ruolo che stava svolgendo in quel momento, Vizzi, si trovava proprio nella linea di tiro, tanto che il colpo non gli ha dato scampo. Il militare e’ stato rianimato per circa 45 minuti ma poi e’ morto durante il trasporto all’ospedale. Nessun dubbio che si sia trattato di un incidente: il collega responsabile dell’accaduto e’ stato ricoverato subito anch’esso sotto choc all’ospedale San Carlo. Questa mattina però è stato dimesso e sta verbalizzando in queste ore il suo racconto dei fatti. Per lui si potrebbe formulare un’accusa di omicidio colposo. Contestualmente partira’ anche una procedura interna di tipo amministrativo.

Comunque, nella caserma Montebello c’è un precedente recente, per fortuna senza nessuna conseguenza grave, a quanto accaduto ieri pomeriggio: solo un colpo di pistola esploso per sbaglio, nessun ferito e una denuncia per ‘violata consegna’ alla Procura Militare.

L’Arma tuttavia si è stretta attorno al dolore di entrambe le famiglie. In particolare, i genitori della vittima con una sorella stanno partendo in questi momenti dalla stazione di Brindisi per raggiungere Milano e una volta qui saranno assistite dai colleghi militari; l’altra sorella, che abita invece a Torino, gia’ ieri sera e’ arrivata nel capoluogo lombardo. Un’intera famiglia dedicata al servizio nelle forze dell’ordine quella del carabiniere leccese: la fidanzata è infatti un’agente di polizia in servizio a Milano.

Vicinanza anche da Regione Lombardia.  “Cordoglio e solidarietà alla famiglia del giovane servitore dello Stato caduto in servizio a Milano ed all’Arma dei Carabinieri”, scrive in una nota il sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia Gustavo Cioppa. “I giovani – continua Cioppa – appartenenti all’Aliquota di primo intervento, unità ‘antiterrorismò per fronteggiare in maniera immediata qualsiasi attacco, servono lo Stato con grandissima capacità, professionalità e spirito di sacrificio. La morte di questo giovane durante un’esercitazione sia fulgido esempio per la cittadinanza tutta dell’impegno costante che le Forze dell’Ordine pongono al servizio della collettività”. “Il suo ricordo – conclude il sottosegretario – resterà sempre vivo nella nostra memoria, insieme a quello di tutti gli appartenenti all’Arma che hanno perso la vita in servizio per la tutela dei valori di libertà e democrazia su cui è basata la nostra Repubblica”.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/esercitazione-carabiniere-morto-1.3722940

Milano, carabiniere ucciso in caserma: il giallo del caricatore

Andrea Vizzi è morto durante un’esercitazione. “L’arma non doveva avere colpi”

Milano, 14 febbraio 2018 – Quel colpo non avrebbe mai dovuto partire dall’arma. La Beretta Pm12 doveva essere scarica. O meglio, il caricatore della pistola mitragliatrice doveva essere scarico. E invece qualcosa non ha funzionato, forse nella fase di scaricamento. A farne le spese è stato Andrea Vizzi, centrato al petto da un proiettile calibro 9 esploso da pochi metri: inutili le manovre di rianimazione andate avanti per 45 minuti; il militare è morto durante il trasporto in ambulanza dalla caserma Montebello al pronto soccorso del Policlinico.

Il giorno dopo la tragedia che ha scosso i carabinieri di Milano e di tutta Italia non c’è ancora una spiegazione definitiva. I genitori dell’appuntato 33enne, originario della leccese Corigliano d’Otranto, sono arrivati nel primo pomeriggio di ieri con un volo Brindisi-Linate e hanno raggiunto all’obitorio di piazzale Gorini la fidanzata di Vizzi, agente di polizia, e l’altra figlia residente a Torino; ad accoglierli c’era il comandante generale Giovanni Nistri. Messaggi di vicinanza sono giunti da tutte le istituzioni nazionali e cittadine: dal sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi («Ci stringiamo intorno ai parenti») al sottosegretario alla presidenza di Regione Lombardia Gustavo Cioppa («Il suo ricordo resterà sempre vivo»). Del caso si stanno occupando i carabinieri del Nucleo investigativo, coordinati dall’aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Sara Arduini.

Dopo le dimissioni dall’ospedale San Carlo, dov’è stato ricoverato per una notte in stato di choc, il vice brigadiere che ha accidentamente ucciso Vizzi è stato sentito dai colleghi di via Moscova per avere la sua versione; a breve verrà aperto un fascicolo per omicidio colposo in cui il 46enne verrà iscritto come atto dovuto per i successivi approfondimenti. Di quella squadra, composta da quattro elementi, lui era il responsabile: una lunga esperienza tra Radiomobile e Antidroga, il militare era entrato sin dall’inizio nelle Api, le Aliquote di primo intervento istituite a fine 2015 dopo l’attentato al Bataclan per intervenire in caso di eventuali assalti terroristici; Vizzi, invece, aveva fatto ingresso nel reparto qualche mese fa, proveniente dalla stazione di Arese. 

Tutto è successo in pochi secondi, poco prima delle 18 di lunedì, durante un’esercitazione al piano -2 della Montebello, in un’area riservata proprio all’addestramento delle Api in uno scenario che ricalca quello del parcheggio di un centro commerciale. Il 33enne impersonava un attentatore armato di coltello che all’improvviso aggredisce un militare in strada, simulando uno dei casi accaduti di recente in Inghilterra. Era senza giubbotto antiproiettile, visto che si trattava di un’esercitazione «in bianco», vale a dire con armi scariche. Eppure il colpo è partito comunque, dalla Pm12 imbracciata dal vice brigadiere e capo squadra. Cosa non ha funzionato? Urge una premessa: è da escludere che un colpo sia rimasto in canna, come può capitare con la pistola Beretta d’ordinanza; la Pm12 è un’arma automatica a massa battente, cioè con una sorta di stantuffo posteriore che spinge il proiettile verso l’esterno e per la quale il caricamento di ogni singolo colpo non è effettuato dall’operatore. Quindi, una cosa pare certa: se il colpo è partito, vuol dire che il caricatore era inserito. L’ipotesi più probabile è che il vice brigadiere lo abbia introdotto nella mitragliatrice convinto che fosse privo di proiettili, sicuro di averlo scaricato completamente. Scartata dai colleghi del 46enne – descritto come esperto e molto scrupoloso nel suo lavoro (ieri sera in tanti lo hanno accolto con un abbraccio senza parole al rientro in caserma) – l’ipotesi dell’inserimento volontario di un caricatore pieno, anche solo per simulare un livello di stress il più vicino possibile a una situazione di reale pericolo e con la convinzione che il proiettile non sarebbe mai potuto partire neppure per sbaglio.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/carabiniere-morto-caserma-1.3724141

Regione Lombardia ricorda le donna vittime di mafia

Milano, 20 marzo 2018 – Regione Lombardia ha ricordato le vittime delle mafie nel corso di una giornata promossa dal Consiglio regionale, in cui protagoniste sono state soprattutto le donne che lottano e che sono state vittime della criminalità organizzata.

“Oggi le donne possono essere una delle chiavi più potenti per contrastare la mafia e debellare questa cultura che si trasmette da una generazione all’altra – ha commentato il presidente del Consiglio regionale, Raffaele Cattaneo – possono avere ruolo ancora più important”». In questi cinque anni “il Consiglio regionale ha voluto dare una risposta in positivo, perché non basta dire che la mafia riguarda anche il nostro territorio – ha aggiunto – ma ci vuole sensibilizzazione e cultura della legalità”. Alla giornata ha partecipato anche Maria Lusida Iavarone, docente di scienze pedagogiche e madre di un ragazzo aggredito e gravemente ferito da una baby gang a Napoli: “I ragazzi sono i radar della legalità”, ha commentato. Sono intervenuti anche Gustavo Cioppa, sottosegretario alla Presidenza della Giunta regionale, Alessandra Cerreti, magistrato della Direzione distrettuale antimafia e Nando Dalla Chiesa, presidente del Comitato tecnico scientifico per la legalità e il contrasto alle mafie. oltre a 230 studenti delle scuole superiori lombarde. “Questa commemorazione – ha dettp Cerreti – non è fine a se stessa ma serve per comprendere il presente e migliorare il futuro, con la cultura e rifiutando le logiche mafiose che serpeggiano ovunque, perche’ qualsiasi forma di prevaricazione è mafia, perché la mafia e’ prevaricazione.

Nel corso della mattinata è stato inoltre messo in scena lo spettacolo ‘Pi Amuri – Ballata per fiori innamorati. Storie di donne contro la mafia’ della Compagnia del Bivacco. La pièce ha messo in scena, con una coreografia essenziale colorata di rosso nero e bianco, le storie di Rita Atria, Piera Aiello e Saveria Antiochia e un ricordo di Lea Garofalo e della figlia Denise Cosco. In chiusura dei lavori, Gianantonio Girelli, presidente della commissione regionale Antimafia, ha ricordato che la prevenzione è l’elemento cruciale per un contrasto efficace dell’illegalità e ha invitato a “trasformare il ricordo in impegno”.

Fonte: https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/donne-vittime-mafia-1.3798473

Regione, Fabrizio Sala vicepresidente al posto di Mantovani

Mini rimpasto di Giunta: Giulio Gallera assessore al Reddito di autonomia e all’inclusione sociale. Francesca Brianza, assessore  al post Expo e alla Città metropolitana. Gustavo Cioppa sottosegretario alla Presidenza.

Milano, 23 ottobre 2015 –  E’ Fabrizio Sala, assessore di Forza Italia,  il nuovo vicepresidente della Regione Lombardia al posto di Mario Mantovani, arrestato la scorsa settimana. Le altre novità riguardano due nuovi assessori e un magistrato sottosegretario alla Presidenza.

Fabrizio Sala assume la carica di vicepresidente mantenendo le attuali deleghe  assessorili (Casa, housing sociale, Expo 2015). Giulio Gallera diventa assessore al Reddito di autonomia e all’inclusione sociale. Francesca Brianza, consigliere regionale, entra in giunta come assessore con delega al post Expo e alla Città metropolitana. Gustavo Cioppa, magistrato di Cassazione ed ex procuratore di Pavia, entra in giunta come sottosegretario alla Presidenza. Cioppa dovrebbe occuparsi anche di trasparenza,

Contestualmente sono state rimodulate le deleghe degli assessori Mario Melazzini e  Mauro Parolini. Il primo assumerà anche la delega all’Università e il suo assessorato concentrerà le attività a sostegno della ricerca e dell’innovazione, assumendo la nuova denominazione di ‘Università, ricerca e open innovation’. Parolini coordinerà le politiche a favore delle imprese nel loro complesso, assumendo la denominazione di ‘assessore allo Sviluppo economico’.

MARONI – “Adesso la squadra è completa e quindi possiamo andare avanti con energia fino alla fine del mandato”.  “Non è stato facile, eèvero, ci sono state molte fibrillazioni ma per me questo assetto della giunta arriva fino al 2018″.  Maroni ha spiegato che terrà la delega fino a quando la riforma sarà attuata,”volendo anche fino al 2018, non è un problema”.

BRAMBILLA – “Regione Lombardia ha due nuovi assessori ma non quello più importante e necessario, vacante da agosto. Maroni è stato costretto a tenere per sé le deleghe di sanità e welfare perché non in grado di risolvere le beghe della maggioranza, in primis di Forza Italia, ora parzialmente risarcita con la vicepresidenza e con un assessorato che più che a sostenere il reddito dei lombardi serve a sostenere gli equilibri di potere”. Così il capogruppo del Pd in Regione Enrico Brambilla in merito al terzo rimpasto di giunta.

CASTELLANO – “Con nuove deleghe che sfiorano il ridicolo per la loro inconsistenza, questo terzo rimpasto in due anni e mezzo di legislatura è il segno evidente della debolezza di Maroni e della sua maggioranza”. Lo dichiara Lucia Castellano, capogruppo regionale del Patto Civico, commentando il rimpasto di Giunta. “L’unica logica, ancora una volta, è quella della spartizione”.

BUFFAGNI – “La Giunta Maroni è come la Salerno-Reggio Calabria, non è mai completa, è sempre bloccata ed è costantemente oggetto delle attenzioni della magistratura”. Lo sostiene Stefano Buffagni, nuovo capogruppo del Movimento 5 Stelle in Regione Lombardia. “Sarebbe un miracolo vederla pronta per il 2018, a fine legislatura”, aggiunge Buffagni in una nota, convinto che si tratti solo di “un balletto di poltrone” e che “Maroni non governa la Lombardia perché è ostaggio della sua maggioranza esattamente come Pisapia a Milano”.

23 ottobre 2015

Fonte: https://www.ilgiorno.it/politica/regione-deleghe-rimpasto-1.1416958