Liberi? Vigilati? Braccati? Sempre più spesso mi scopro a domandarmi se la nostra vita sia veramente una civiltà di uomini liberi. L’evoluzione culturale, il sistema democratico, il senso etico e giuridico che permeano il nostro ordinamento e il sistema Paese in generale hanno assicurato livelli di conoscenza delle dinamiche relazionali e di approfondimento dei meccanismi di monitoraggio, controllo, sanzioni e applicazione delle pene davvero elevati. Ogni sfera della nostra vita è oggetto di regole, limitazioni, controlli, garanzie, responsabilità. Questo dovrebbe tutelare l’individuo quale parte di una collettività civilizzata, tanto da consentire alle persone di esercitare la propria libertà senza ledere la libertà degli altri. Ma è davvero così? Le sfere più basilari e simboliche della libertà personale sono oggetto di continua violazione. La proprietà privata in concreto è scarsamente tutelata e prova ne sono fatti criminosi come furti, rapine, appropriazioni indebite, atti vandalici, danneggiamenti e altri reati, purtroppo molto diffusi. L’incolumità personale è un bene raro e prezioso, anzi il più prezioso di tutti: atti di violenza fisica e verbale sono all’ordine del giorno e troppo spesso restano impuniti o blandamente sanzionati in concreto. Ecco allora che, un po’ come nella libertà vigilata ci sono obblighi e prescrizioni, così la nostra vita viene spesso condizionata entro orari al di fuori dei quali non è sicuro uscire di casa, specie nelle grandi città, con conseguente limitazione alla nostra libertà di circolazione (cfr. art. 16 Cost.). Le regole sono innumerevoli, ma i correttivi di ogni atto di violazione delle stesse sono spesso difficili da applicare o di fatto poco efficaci. Il tema è ad esempio quello del generale clima di insicurezza che si prova nell’uscire di casa, per andare in vacanza e poi trovarsi la propria casa occupata abusivamente o depredata, per andare a fare la spesa o in farmacia ed improvvisamente essere coinvolti in una rapina, per uscire dalla porta della propria abitazione e incontrare tossicodipendenti, baby gang o persone armate, e ciò a causa di un’insufficiente apparato di protezione, nei numeri del personale delle forze dell’ordine e di polizia, ma non solo. Sembra, insomma, che il bene giuridico, “sicurezza pubblica”, siccome bene espresso dall’art. 4 del d.l. 14/2017, sia messo in pericolo. Il riferimento è, sotto un profilo penale, ai malfunzionamenti dell’apparato preventivo e cautelare, dovuti a insufficienti fondi stanziati. Penso ad esempio al tema del malfunzionamento dei braccialetti elettronici, che dovrebbero, almeno in teoria, tutelare la vittima di reati come stalking e violenza sessuale dall’avvicinamento del reo ai luoghi frequentati per lavoro, istruzione o vita quotidiana. Il tema è così pure quello dell’inadeguatezza delle strutture carcerarie e del sovraffollamento delle carceri, unitamente a episodi di abusi di autorità sui detenuti, che, sebbene privati della libertà personale a seguito della commissione di un fatto di rilevanza penale, non devono tuttavia esserne privati doppiamente anche nel contesto carcerario, né possono essere privati della propria dignità personale. Si renderebbe allora necessaria una formazione pedagogica ed etica degli operatori pubblici, nelle carceri ma non solo, anche negli uffici pubblici, affinché i servizi offerti alla persona e al cittadino siano servizi di qualità, facendo in modo da eliminare la percezione negativa della pubblica amministrazione. Il tema attiene anche alla libertà quale capacità di autodeterminarsi, di porsi regole, di essere “autonormati” e dunque più “autonomi”, ossia in grado di porsi un sistema di obiettivi, doveri, obblighi e limiti, compresa la regolazione delle proprie pulsioni. Il filosofo Seneca proprio su questo ci voleva far riflettere, chiedendoci: “siamo sicuri di essere realmente liberi, quando invece spesso siamo schiavi delle nostre passioni?”. Il tema del rapporto tra libertà autentica e libertà apparente diviene allora centrale, né possiamo sottrarci al dibattito demandando sempre la causazione delle nostre azioni a fattori esterni, come proponeva il filosofo Gorgia nell’ “Encomio di Elena”. Così, molti criminali fanno perno sulle nostre debolezze, spingendoci a commettere errori che ci costano cari: questo il caso dei narcotrafficanti, dei gestori delle rivendite di gioco d’azzardo, di chi ci istiga all’ubriachezza e ad assumere droghe, di chi, nel contesto della mala vita organizzata, ci vuole far convincere che aggregarsi alle organizzazioni mafiose sia più conveniente, che essere persone oneste non convenga, istigando l’idea che lo stesso sistema del Paese premi la corruzione e l’illegalità. Questi tristi problemi sociali, che si tramutano poi in fenomeni criminali, purtroppo ci sono, e l’attività delle Procure e delle forze di polizia per contrastarli non basta, a causa soprattutto della carenza di personale e di strumentazione tecnica. Il tutto, in un contesto urbano privo delle fonti di aggregazioni, cattoliche e laiche, proprie del recente passato del nostro Paese, sostituite da forme di conoscenza tra giovani per lo più negative e che non sono sorrette da un solido sostrato etico, come la movida e i rave party. Più in generale, è evidente come il contesto contemporaneo, nazionale ma non solo, stia attraversando un momento di forte criticità, ove la libertà personale incontra forti limiti, a partire dalla situazione del mercato del lavoro, posto che senza il lavoro, sul cui diritto si fonda la nostra Costituzione (art. 1 Cost. e art. 4 Cost.), vengono a essere pregiudicati i diritti fondamentali della persona, tra i quali la dignità, il diritto a una vita affettiva e familiare, il diritto all’iniziativa economica privata, il diritto al credito, il diritto alla proprietà di una casa, il diritto alla salute e all’istruzione, solo per citare i principali. Come è stato bene detto in dottrina (Bertolissi, Contribuenti e Parassiti), i diritti costituzionalmente garantiti esistono fintantochè sono finanziabili. Oltre a ciò, oggi si assiste sempre più alla diffusa presa di coscienza di essere poveri pur lavorando, passando dalla logica del lavorare per vivere (dignitosamente, si spera), al vivere per lavorare e con un continuo e progressivo ampliarsi della forbice sociale ed economica. Ci si può allora legittimamente chiedere se può parlarsi di “comunità civilizzata” e cosa debba intendersi per “comunità” e cosa per “civiltà”. Diffide e avvisi di conclusione delle indagini preliminari non pervenuti, cartelle fiscali impazzite, morti sul lavoro, furti di identità, insostenibilità dei costi della vita e per l’adeguata retribuzione per un’attività professionale, come una difesa in giudizio o una consulenza fiscale, unitamente a un mancato rispetto delle regole, come nell’ambito della pubblica amministrazione (assenteismo, lassismo, corruzione), ove i “furbetti” restano impuniti e i “liberi” restano incastrati. Ci si deve cioè chiedere se per potersi parlare di comunità, quale affermazione dei concetti di “società civile” e di “Stato” inteso come “Stato – comunità” siano sufficienti una comunanza di lingua, di tradizioni culturali, di sottoposizione a un medesimo sistema giuridico e politico, o se sia invece necessario qualcosa di più. Probabilmente, un requisito ulteriore, ma essenziale e primario, è quello culturale, quella “kultur” e quella “weltanshaug” di cui parlavano gli scrittori tedeschi dell’Ottocento, in primis Goethe. Ci si deve poi chiedere cosa debba intendersi per “civiltà”, se cioè esista una nozione di questo concetto valida a livello universale o se la stessa si strutturi in termini relativi e di geometria variabile, se cioè sia una nozione convenzionale e declinabile inevitabilmente secondo i tempi, il momento storico e il contesto sociale e politico di un determinato paese. Certamente, la mancanza di lavoro e il (in parte, per derivazione non trascurabile) clima di insicurezza non sono certo elementi né positivi né qualificanti per un Paese che si reputa civile. Così, il proliferare di molteplici reati, quali furti, rapine, spaccio di droga e violenze sessuali, come pure il pericolo dell’ulteriore espansione del fenomeno mafioso, deve mettere in guardia, unitamente a nuove forme di insicurezza, che si sperimentano ad esempio nel timore di aprire a chi ci suona il campanello di casa o di rispondere a una telefonata proveniente da un numero non salvato in rubrica, temendo frodi e furti. Il furto appunto, dicevamo…ma…il furto non è solo quello di un bene, per pochi soldi, dovuto spesso a situazioni di fame e indigenza, ma anche il più pernicioso furto di anime. Più pericoloso di chi ruba per fame è allora chi si finge tuo amico per anni e poi ti pugnala alle spalle, simulando ipotesi di reato a tuo carico, coinvolgendoti a tua insaputa in collusioni indebite o diffamandoti. La libertà si riconnette inevitabilmente alla questione della bontà intrinseca o, viceversa, della malvagità intrinseca, della natura umana. La libertà (quella autentica almeno) è infatti correlata alla bontà e all’altruismo. L’evidente mancanza di libertà autentica sembra allora derivare dalla seconda delle due opzioni. Al tempo stesso, l’essere umano ha dimostrato, nella storia, di saper combattere questa intrinseca malvagità, o meglio, difetto di bontà, probabilmente derivante dalla propria natura imperfetta più che a una forma di spontanea adesione. Poche allora sono forse state le persone davvero libere, forse i santi, forse persone laiche ma comunque caratterizzate da virtù non comuni, ma comunque poche. Senza volerci ora addentrare nell’accennata questione filosofico-teologica, è comunque evidente che l’era contemporanea si caratterizza per una libertà apparente, favorita da (un non più attuale) benessere economico diffuso, da una libertà nei costumi maggiore rispetto a quella passata, nonché al diffondersi dei social network, che tuttavia hanno comportato non poche problematiche (il proliferare di tradimenti che comportano poi separazioni e divorzi, l’affermarsi di furti d’identità e di forme di diffamazione via internet solo per citare le più note). Sta a noi allora recuperare la nostra libertà, sta a noi cioè la scelta e l’impegno a tornare liberi. Si palesa allora d’uopo una necessità di rigenerazione interiore, che richiede un ripensamento su noi stessi e sul nostro sistema di valori. Si pensi ad esempio al tema della frammentarietà del contesto ordinamentale presente, ove si possono annoverare un numero elevatissimo di d.p.r., leggi ordinarie, decreti legislativi, decreti legge e d.p.c.m. sempre più caotici e che tale confusione ingenerano, non facendo più comprendere la demarcazione tra principio e dettaglio, scrivendo norme complesse e prive di reale sostanza, intervenendo su aspetti accessori e non centrali, senza peraltro affrontare grandi sfide della modernità in modo organico, come l’intelligenza artificiale, la crisi del mercato del lavoro, il lavoro irregolare, stipendi irrisori e contesti ove vengono fatte figurare come libere professioni o collaborazioni coordinate e continuative, con conseguente assoggettamento fiscale a p.iva, situazioni che invece sono nella sostanza di lavoro subordinato, come pure il grave tema dell’evasione fiscale, che comporta una perdita di gettito che a sua volta si riverbera, in danno in primis dei contribuenti, in minori servizi. Sembra insomma che sia tutto da riscrivere, tutto da rifare. Probabilmente è così. La modernità sembra non funzionare, o meglio, funzionare in apparenza, dietro un vano produttivismo che però reca, anche se in modo larvato, i segni della sofferenza esistenziale. Una situazione di incertezza ben descritta nel celebre quadro “Il viandante nel mare di nebbia”. Sì, perché il nostro futuro, quale umanità, sembra incerto e tale proprio è a causa della perdita di noi stessi e dei contenuti e contorni etici che delineano la nostra ontologia. Così, la libertà è il tratto fondamentale dell’essere umano, come ci ricorda la dizione dantesca quali animali di libertà e d’amore, nonché gli attributi che la filosofia tomista ha da sempre attribuito all’essere umano quale immagine, sebbene imperfetta, di Dio. Ma non è tutto. La libertà non è solo “libertà di”, ma anche e in primo luogo “libertà da”. Così, la mia libertà non è solo quella di muovermi, di pensare, di studiare, di lavorare, di godere del mio tempo libero, ma è anche libertà da condizionamenti morali o materiali o psichici. Proprio in tale ultimo senso la legge penale punisce assai severamente gli asservimenti psichici, come la circonvenzione d’incapace, o materiali, come lo spaccio della droga, che ingenera una dipendenza che spesso conduce alla morte, o morali, come la corruzione. Non si deve allora mai cedere al compromesso morale. Per citare Falcone: “il vigliacco muore ogni giorno, il coraggioso una volta sola”. È allora necessario essere coraggiosi per essere liberi. È necessaria la rigenerazione del singolo per ottenere la rigenerazione della società civile. Altrimenti, si scapperà sempre da qualcosa, in primis dalle proprie paure, dalle proprie debolezze e insicurezze. La paura però va affrontata. Il tema allora diventa…quale valore si dà all’esistenza? Alla vita? La vita rappresenta solo un mezzo oppure un fine, oltre che valore in sé? Indispensabile diventa allora il ruolo del dialogo, dell’interrelazione, del criticismo (nella sua accezione filosofica), della critica (anche nella sua accezione di rimprovero severo), della messa in discussione, nonché, non da ultimo, il recupero dell’etica pubblica. Poichè infatti l’essere umano non è concepibile se non in relazione alla propria comunità di appartenenza, egli si completa solo tramite il costruttivo confronto con i propri simili – e questo è un discorso iniziato da Aristotele, con la sua celebre dizione di uomo quale animale sociale e proseguito con Hegel, che ha costruito il proprio sistema filosofico sul culto dell’etica pubblica e della comunità, di qui l’idea dello Stato-comunità -. In tal senso la tecnologia e i mass media, nonché i social network mostrano tutto il proprio carattere non solo insufficiente, ma anche fallace e nocivo, poiché essi consentono indebitamente di bypassare una fase logica indispensabile: quella del dialogo tra presenti. Ironico pensare un riferimento fatto da un filosofo contemporaneo al fatto che si diceva che gli interlocutori di Socrate “sudavano” quando venivano da lui interrogati. E allora, come può un magistrato che non ha fatto l’università della strada o che perlomeno non è vissuto nella società frequentando gli ambienti più disparati a comprendere se un’imputato è colpevole o innocente, se sta dicendo il vero o il falso? Il percorso si palesa lungo e non semplice, sempre ammessa e non concessa la volontà collettiva di intraprenderlo. È allora quantomai da porsi come repentina l’esigenza di una collettiva presa di autocoscienza sui problemi descritti e vertere tutti insieme verso un positivo cambiamento, recuperando il valore della cultura, dell’istruzione, dell’educazione, del rispetto, della scuola, dell’altruismo e dello spirito di gruppo, recuperando non da ultima la dimensione aggregante dello sport e delle iniziative religiose e laiche volte al costruttivo confronto. Certamente serve prevenzione, ma non solo la prevenzione delle Istituzioni a ciò deputate, ai sensi del r.d. 773/1931, ma un tipo di prevenzione comportamentale ed educazionale, che parta dalla scuola e dalla famiglia, ove deve esservi un dialogo effettivo, un vero e proprio contraddittorio sostanziale e concreto. Prima dell’azione preventiva, la quale prescinde dall’azione penale (art. 5 comma 1 d.l. 14/2017), ma che deve costituire comunque l’extrema ratio, è imprescindibile allora una rigenerazione spirituale dei giovani, e non solo dei giovani, una riscoperta del senso profondo e della bellezza della vita. Se, come diceva Shakespeare, noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, dobbiamo allora essere consapevoli del nostro potenziale spirituale, capace di sognare e far sognare, ove trovare e comprendere il senso della nostra libertà.
